Nei RI-quadri
ANGELO MINISCI

mostra personale
6 / 10.05.2017

INAUGURAZIONE
sabato 6 maggio
ore 17.00

Saranno presenti il critico Massimo Innocenti e l’attrice Alessandra Roina che interverrà con una live performance

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APERTURA
domenica ore 16.00 – 20.00
da lunedì a mercoledì
ore 10.30 – 12.30 / 15.30 – 18.00

ingresso libero

 

Guarda le foto dell’inaugurazione

Dipingere partendo da lontano, quindi, forse dal profondo del tempo. Una mappatura che tenta la topografia di un territorio inesplorato e difficilmente esplorabile, una “zona” altra… dove diventa inutile affidarsi alle nostre certezze sensoriali, essendo continuamente aggrediti da esperienze sinestetiche dal profumo di giallo, di agrumi e altri odori dell’essere.

Un brusio di fondo, generando soluzioni inaspettate oltre il paesaggio. La pittura come, forse, disciplina da destreggiare per compiere una sorta di esorcismo personale.

La spontaneità delle sensazioni come sorgente, il dipinto come struttura reticolare per catturarle. Il lavoro crea un invisibile limite tra lo spazio della rappresentazione e quello dell’osservatore esterno, un perimetro disegnato. Attraversare o meno quella soglia significa quindi porsi “dentro” o “fuori” un microcosmo armonicamente e ritmicamente scandito. (Massimo Innocenti)

NOTA BIOGRAFICA

Angelo Minisci, designer, ha conseguito il Diploma di Laurea in Design presso l’Istituto Superiore Industrie Artistiche di Firenze; tesi sull’innovazione del cristallo di Colle Val d’Elsa, relatore Arch. Paolo Deganello.

Attualmente esercita attività di progetto, è stato socio fondatore dello Studio Bl@m Design & Comunicazione, responsabile del settore design, svolge attività d’insegnamento presso molte scuole, sulle tematiche del progetto e dell’innovazione formale connesse al mondo dell’artigianato artistico.

Collabora con riviste di design, arte e artigianato, con articoli relativi a tematiche di progetto. Sono stati pubblicati alcuni suoi scritti e presentati dei progetti in diverse iniziative e mostre culturali in Italia, ed all’estero, in Francia, Spagna, Sud America e Giappone.

È membro di “Ad Arte” – Primo Osservatorio Nazionale sull’Artigianato Artistico e del Comitato Tecnico Nazionale per le Aree Artigiane della rivista “Artigianato” e della rivista D’A e Ceramica Antica e Moderna.

Tra i premi ricevuti: 1990 – “Prima Biennale del Manifesto in Messico”; 1990 e 1997 – Premio “Esaedro”; 1994 e 1998 – Menzione Onorevole per il Concorso “International Luggage design fair Tooyoka (Giappone); 1998 – “Compasso d’Oro” (Milano); 2000 – Biennale Internazionale Arte applicata e Design (Roma), 2003 Premio Youg Design, 2005 -2007  Premio Vespucci Innovazione e Design regione Toscana.

Instancabilmente continua il suo lavoro di ricerca nel campo del design e dell’arte per nuove riflessioni e tematiche per il progetto.

"Così come ogni scrupolo il desiderio" presentazione di Massimo Innocenti

Nei RI-quadri
così come ogni scrupolo il desiderio

Non c’è sovranità se non si recupera il desiderio con scrupolosa attenzione.
La sovranità del pensiero, la libertà di raccogliere sensazioni e di trasformale in emozioni è un apprendistato poetico, ed è quello che osservo e sento nel vedere quello che l’amico e compagno di molte avventure ci mostra in questa estemporanea affermazione di un corso, che, senza dubbio, si compone e ricompone in un attenta e intricata immagine della sua arguta conoscenza.
Quando Angelo mi ha chiesto di scrivere qualcosa per presentare questa sua installazione, l’accettare è stato un piacere, ma non solo per l’amicizia che ci lega, ma per quanto il poter dire, continuare a dire, quello che da sempre abbiamo scritto e detto nelle nostre analisi critiche. Ma sento anche la necessità di affrontare queste sue “immagini” come spettatore e dialogare con lui senza le “giuste” parole, ma solo con il sentimento che ci unisce. E allora non scriverò come il mio solito, ma con una melodia invisibile in cui si alternano parole a silenzi per suggerire a l’anima una “voce” diversa, forse elementare, ma dialetticamente legata ad una armonia che non si sente ma si sa che c’è.

…È da un po’ che guardo, forse i paesaggi e l’azzurro che sembra troppo e anche lo sguardo che rincorre la strada che sale a mezzacosta. Le foglie come piccoli accordi battono sulla stretta dimensione senza alcun rumore. Lo spazio lieve apre tra due alberi e la cornice riquadra l’ombra blu, rossa, quasi viola.
Per rendere ai paesaggi il rumore e si racchiude a riempire per forgiare fresche valli e orizzonti piccoli e lontani. Melodia docile, saltellante tra fessure immediate in misure decise, una vicino all’altra come l’antica voce del cielo o del vento. Ecco, ora, le dune dei campi con olivi e viti; strati di matita e colore, gessi e smalti su l’acqua a getto come pioggia estiva, ecco altro scenario come una quadratura essenziale per udire il sussurro della terra. Così si compone tutta la strada immediata su una striscia di parete; come il ricordo estivo, una musica dolce che conosce i quadri, le veloci pitture ad aria aperta… una letteratura.

Consciamente alzai gli occhi sopra alte visioni e ricomposi la vista in strette fenditure; erano vedute, forse lontane, ma senza dubbio ombre della stessa teoria: posizioni ai confini tra l’agile forma spaziale e il naturale avvolgimento della sua compenetrazione nei ricordi consacrati all’atmosfera. Ed è quello che si vede … li segui come si segue un miraggio, sono i tasselli preziosi di un mosaico panoramico sistemati davanti alla vita. Quello che vedo è come un torrente distribuito a frammenti, sono come stanze in raccolta e riprese in istantanee fatte nello spazio dove si chiudono le forme, e le vedi tutte insieme, tutte vicine, ma in uno sguardo rapido che traduce l’infinito in piccole finestre assemblate a schiera come ad accendere segni plastici.
Si aprono al cielo come spettri multicolori, dove il tepore del segno lascia fiorire luoghi, paesaggi e cose introdotte in profili in altri miti. Un tocco, un sibilo inesistente ma insistente fino a nenia perturbante, tanto da delineare lunghe scene che spariscono nella loro stessa solitaria ricomposizione, sono acque e strade fronde e strisce colorate, ombre graffiate e mollemente adagiate, come fiori secchi o incerati dal tempo, come reti di canali svuotati dal troppo pieno e ricolmati da silenti tratti in verdi riflessi con azzurri e pastelli, colori all’ombra del disegno e cornici bianche e spessori ocra, come vesti corte a ri-coprire confini di campagne… paesaggi inscatola pronti all’uso… profondo melodramma di una sola sensazione, la sua.

Ai limiti di ogni proprio confine, ogni piccola fessura si inerpica in spazio invisibile, in campagne bizzarre, annerite fin troppo da altre sollecitazioni formali, poi riscendono, RI-fluttuano come sigilli preziosi in scrigni chiusi. Distinti fino a trasparire altre aridità meridiane, per poi mute come note accorciate in armonie dodecafoniche, quasi a sfiorare l’essenza stessa della forma, si alitano in melodie. Tutto è attorno allo spazio, alla partenza di immagini velate da un solo vissuto; libero di accostarsi al vero… ero libero come ero solo nella variabilità del sole. Spazio predisposto da una nebulosità chiaroscurale in cui riposa la geometria essenziale, descrittiva quasi a formare trasparenze e argentei riflessi tra cristalli scoperti e richiusi in vibranti oscillazioni; ancora chiusi, impacchettati per viaggi in vigilia di assenze.
Sentivo i passi, ci accompagnavano come a sorprendere la nostra frangente riflessione, specchiando il vetro lo scorcio diventava passeggiante, paesaggio in confine, quasi un angolatura rasente parete e spazio, sentivo il suo passo, i suoi segni e le sue copie, la sua lontana memorizzazione di un istante. Ripetevamo in un breve volteggio il silenzio e la melodia… era dal vero!

Angelo Minisci è un artista e un critico delle cose, un designer che modella con l’essenza la sua creazione, o meglio, le sue creazioni, che sono molte e conosciute, ma ci sono anche parole che non dice e che preferisce lasciarle nell’oblio di sé, nella momentanea liberazione che trattiene dai colori e dai segni. La sua abile e raffinata preparazione gli rende facile il “nascondiglio” di quei luoghi che predilige e lascia che si ammontino come tracciati compositivi, ma disordinati, quasi confusi, ma in piena armonia tanto da dedicarci riprese letterali, frammenti sentiti in solitudine e da questi ricorrere a decifrabili composizioni in un dionisiaco “libro d’artista”. L’orfismo di Angelo non ha un carattere decifrabile, ma vive di tentazioni comprensibili al limite di un crepuscolarismo sensitivo, per poi gettarsi subito in uno schema compositivo al pari di una geometria funzionale, appartenenti a una visione naturale in confidenza con forme manifeste.
L’dea è iniziale e come inizio già si configura in un possibile altro progetto, ma non nel suo riconoscibile espediente figurativo, ma quanto nella trama di quel racconto che non appare e rimane sospeso tra l’idea e la forma, perché è pur sempre un segno che vive un criterio trasfigurato dalla sua stessa impostazione e proprio per questo ideale, dalla sua idea e così rimane pro-memoria di un infinito svolgimento; il componimento esistenziale che traduce il silenzio in pura bellezza.

“…Qualche cosa in noi si schianta, qualche cosa che il nostro amico direbbe: cuore. “
(Da soliloquio delle cose di Sergio Corazzini)
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Massimo Innocenti

"Uno scritto personale" presentazione di Angelo Minisci

ALTRI LUOGHI, paesaggi di fondo, ovvero la comprensione dell’attesa.

Uno scritto personale. L’incipit introduttivo a questo scritto potrebbe essere: questo non è una introduzione alla mia mostra.

Il mio lavoro ha per sua natura una ricerca biografica del vedere l’anima del mondo o semplicemente di definirne le sfumature. Un lavoro attento, meticoloso, quasi maniacale, metrica di precisione e allo stesso tempo di leggerezza del vivere. Ogni opera è connessa alle altre, quasi come una loro introduzione, ma contemporaneamente rimanda a visioni alternative, puramente mentali. “Ogni immagine è, evoca o coincide allo stesso tempo con la parola che la presenta, la commenta, la illustra”.

«È davvero contemporaneo chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo». Così Giorgio Agamben parla in apertura del suo libro edito da Nottetempo. Seguire gli indizi presenti nelle rappresentazioni della quotidianità del reale è una tentazione molto forte, che rende facile smarrire il punto di partenza. I miei lavori, allora, sono forse le pareti della mia stessa mente, come profondità da raggiungere e iniziare così a disporre, catalogare, archiviare rumori, sogni e saperi. La spontaneità delle sensazioni come sorgente, il disegno come struttura reticolare per catturarle. Ed è proprio il pensiero, il concetto, che diviene centrale per la mia poetica, a discapito del prodotto che è strumento. Ciò che posso chiamare presente. Il linguaggio figurato è per me il mediatore tra l’uomo e il suo mondo, tra la natura e la cultura. Fare il fondo, osservare dove la linea d’orizzonte si lascia vedere tra i riflessi della luce, fa di un lavoro artistico quel senso d’attesa. Il “paesaggio” è di fondo, sta lì come se si comprimesse tra il desiderio e il favore. È un gesto, un segno lasciato evanescente nel tentativo di raccogliere un punto di vista. Quest’attesa definisce un luogo, un posto dove fermare lo sguardo e tracciare quel ponte che fa avvicinare le due possibilità, Paesaggi di fondo, ovvero la comprensione dell’attesa.

Essere contemporanei, dunque, significa essere in grado di percepire il buio del presente. Ciò vuol dire che riuscire a vedere il proprio tempo non è qualcosa di scontato, ma è il frutto di un’operazione di pensiero. Il segno/gesto che marca il vuoto nella pittura. Leggerezza, impalpabilità e silenzio. Tutto ciò disarma. Sapere che le immagini rivelano, ingrandite, alcune parti del nostro io diventa sì, importante per molti versi, ma anche irrilevante per certi altri. Disegni ordinati come un ritratto dell’io, come difronte ad uno specchio il quale diventa finestra da cui osservo luoghi e personalità che formano l’obbligatorietà del tempo, ma anche la possibilità di uscire fuori dalla finestra e catturare tutte quelle vibrazioni espressive che celano profonde correnti di ansie e riflessioni.

Noi siamo irripetibili. In ogni istante. L´istante in cui l´immagine è catturata per intuizione, è un istante di totale presenza. Anche se non conoscessimo i nomi degli oggetti dell’essere, avremmo comunque la sensazione che spazio, luce, ambienti e atmosfere si siano fuse insieme – sintetizzate – per restituire l’umore di un dato tempo sospeso, bloccato. Poetiche tanto da rasentare il mutismo. Raccontano anche dello spostarsi leggero dell’atmosfera (intesa come aria), mentre si cammina. Davanti alle immagini ci si ferma, rendono visibile quel che resta invisibile e sottraggono ai corpi la loro potenzialità di rappresentazione. Un Tempo fermo. “Quando le cose stanno come devono stare, le narrative del senso comune non sono necessarie”, vien da se ed è chiaro. Se il “noi” è la fonte della possibilità dell’emergere dell’io”, è possibile sostenere che l’essere emerge, accade. Nel suo accadere esprime una molteplicità di esperienze, alcune delle quali se pur nella complessità, sono il nostro essere viandanti. Quindi egoisti verso gli affetti più cari ma sinceri nell’esserci intorno a loro.

Catturare sensazioni è un’attività particolare, che richiede uno strumento arcaico, la ‘pittura di una volta’, lavorare partendo da lontano, quindi, forse dal profondo del tempo. Mi piace pensare che la pittura sia nata in una grotta e che queste siano pitture parietali in cui si fa largo un sedimento d’immagini che si ancorano al telaio, avvinghiandosi come se fosse l’unico posto dove andare.
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Angelo Minisci

NELL’IMMAGINE

Giallo fermo, 2016 (dettaglio)